Partite Iva, nuovo regime forfettario: i cambiamenti dal governo Meloni

Grossi cambiamenti illustrati dal governo Meloni per quanto riguarda le partite Iva a regime forfettario. La modifica si lega a regole che contrastano gli abusi. Vediamo la misura meglio nei dettagli.

Fin dal primo momento, il nuovo esecutivo ha voluto imporre la sua marcia. Una volontà nata dal fatto che il paese si mostrava in chiara sofferenza su praticamente tutti i livelli. Per questo 2023, una delle novità più importanti riguarda le Partite Iva. Quest’ultime hanno visto non solo novità ma anche delle importanti conferme.

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Il regime fiscale è senza ombra di dubbio uno dei temi più di rilevo dell’azione del nuovo governo. La legge di Bilancio 2023, infatti, è definita da molti come cruciale ed è proprio su questo binario che il governo Meloni sta lavorando. In prima battuta, la Legge non ha cambiato l’aliquota di prelievo che si applica a chi rientra in un un ambito di tassazione agevolata. Questa resta la 15% in generale e al 5% per le nuove. Per le recenti P.Iva saranno garantiti 5 anni a questa percentuale.

Già da questi piccoli dettagli, si comprende come il regime fiscale sulle Partite Iva sia stato tenuto conto dal nuovo esecutivo. Ma le indicazioni su questo tema non sono certamente finite qui. Come detto in precedenza, alle conferme si sono legate anche significative modifiche. Ecco quali sono.

Partita Iva 2023, le modifiche sul regime forfettario: la soglia limite

La più grande modifica in questo ambito riguarda la soglia limite dei ricavi e dei compensi. Questi permettono di usufruire di un regime forfettario. La soglia, dalla manovra, passa dai 65.000 euro fino ad arrivare a 85.000 euro. Un aumento di ben 20.000 di euro. Come svela Il Sole 24 Ore, questo tetto permette di collegare questi numeri all’inflazione che sta segnalando sempre dati più allarmanti. Inflazione che, nel 2022, ha portato il costo della vita a toccare vette mai esplorate in precedenza.

Sempre il quotidiano che si occupa di economia ci illustra cosa determina il fatturato di una P.Iva. Il fatturato viene fuori da qualsiasi ricavo e compenso che si sia legato all’attività svolta da chi lavora autonomamente. Indipendentemente dal reale lavoro che svolge. A questo, però, va aggiunto il 4% che si palesa direttamente in fattura per gli iscritti alle gestioni separate dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INPS). Mentre sono tenuti fuori da questo discorso i contributi integrativi che sono addebitati ai clienti da parte di chi si lega alle casse previdenziali professionali e private.

La nuova norma, entrata in vigore dal 2023, va a toccare anche i ricavi e compensi che riguardano il 2022. Questo perché la documentazione che viene presentata fa riferimento proprio all’anno precedente. L’aumento della soglia, però, porta con se alcune regole che dovrebbero evitare illeciti o abusi. Nello specifico, se i ricavi superano i 100.000 euro si decade con effetto immediato dalla flat tax. Oltre la percentuale alta di prelievo si aggiunge l’Iva dovuta per le transazioni che si generano ad una certa soglia.

Tale regole si discosta da quanto strutturato in precedenza. In caso di superamento dei 65.000 euro, infatti, si continuava sull’applicazione dell’aliquota di riferimento. Soltanto l’anno successivo scattava una percentuale più alta. E, come riportato da Sole 24 Ore, si tratta di una terra di mezzo per chi supera gli 85.000 euro ma non sfonda il tetto dei 100.000 euro. Questi, con ogni probabilità, resteranno per quest’anno in flat tax. Dal 2024, invece, su ricavi e compensi ci potrebbe essere una tassazione maggiore.

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